Nel sito di Bilancino II (Firenze), 25.000 anni fa si macinavano con mortai i rizomi di Typha, la canna palustre, di felce, e di diverse altre graminacee selvatiche. Non c’era olio, perché per la domesticazione dell’olivo, avvenuta in Medio Oriente tra 8.000 e 6.000 anni fa, dobbiamo attendere svariate migliaia di anni, ma c’erano grassi animali in abbondanza. Non c’erano agrumi, quasi tutti di provenienza asiatica e non c’erano ovviamente tutte le piante americane come pomodori, patate, mais, peperoni e melanzane e cacao. Qualche legume c’era, per esempio il pisello selvatico e forse le fave, di cui non si trova l’antenato selvatico. Ma soprattutto, c’erano decine di specie, animali e vegetali, che oggi sono andate perse. Non abbiamo idea del tasso di estinzione delle specie al passaggio tra il paleolitico e il neolitico, ma sicuramente i cambiamenti climatici causati dalla fine della glaciazione, l’innalzamento del livello del mare di molti metri e l’antropizzazione dovuta all’agricoltura che richiedeva il taglia e brucia delle foreste deve aver pesato moltissimo. Questo vuol dire che così come sono scomparsi l’uro, l’asino idruntino, il cavallo selvatico, l’alca impenne, il mammut e tanti altri animali, sono anche scomparse moltissime specie vegetali che sicuramente gli uomini del paleolitico sapevano sfruttare. Una ricostruzione precisa di quel che poteva davvero essere la dieta sapiens e neanderhtal del paleolitico è pertanto quasi impossibile, dal momento che è impossibile ricostruire i valori nutrizionali di specie che non conosciamo. Sappiamo però che coltivatori e allevatori del neolitico mangiavano molto peggio dei loro predecessori, e lo sappiamo osservando i loro resti. L’altezza diminuisce, i denti cadono, le ossa si fanno più fragili.